L’impresa familiare e la sua divisione ereditaria

L’impresa familiare e la sua divisione ereditaria

Quando scatta il diritto di prelazione e per quanto dura


In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda, i partecipi all’impresa familiare hanno diritto di prelazione sull’azienda.

Riguardo al limite temporale del diritto di prelazione e riscatto occorre prendere in considerazione l’istante della liquidazione della quota, il quale coincide con il consolidarsi, alla cessazione del rapporto con l’impresa familiare, del diritto di credito del partecipe a percepire la quota di utili e di incrementi patrimoniali riferibili alla sua posizione, restando irrilevante la data del passaggio in giudicato della sentenza, che su quel diritto abbia statuito, stante il prodursi degli effetti della medesima allo scioglimento del rapporto.

L’imprenditore è dunque libero di alienare l’azienda di sua proprietà. Il legislatore però ha voluto tutelare l’interesse dei familiari a continuare il lavoro produttivo riconoscendo il loro diritto di prelazione sull’azienda medesima. Siffatto diritto ha ad oggetto l’azienda nel suo complesso, oppure un suo ramo. Sfuma quindi in ipotesi di alienazione di singoli beni, salvo che l’importanza della res isolatamente considerata sia coessenziale allo svolgimento dell’attività d’impresa al punto da implicare l’identificazione di tale bene.

In caso di divisione il diritto potestativo qui considerato serve a proteggere l’interesse all’unità dell’impresa nell’eventualità che i beni aziendali vengano assegnati al familiare il quale, essendo a essa estraneo, non ha alcuna motivazione al suo esercizio.

La prelazione spetta a ciascun avente diritto. Verificandosi l’esercizio cumulativo della prelazione stessa, l’azienda sarà acquistata da tutti in parti eguali. Bisogna però badare che ove ricorra tale situazione la quota relativa agli incrementi è acquistata dal familiare in dipendenza del titolo di partecipazione.

Il familiare pretermesso ha diritto al riscatto. È vero che contro l’immaginata soluzione si staglia l’obiezione giusta la quale il termine finale per esercitare il diritto potestativo lo stato di comunione ereditaria. La replica è nondimeno facilmente intuibile, ed è innervata dall’esigenza d’adattare la norma oggetto di relatio alla fattispecie adesso analizzata. All’esito di quest’operazione si evince che il dies ad quem combacia con la liquidazione della quota spettante al partecipe.

L’altra obiezione relativa ad vulnus che la tesi accolta generebbe alla certezza e sicurezza della circolazione giuridica è confutabile avvalendosi dell’argomento assiologico. Il legislatore, nel bilanciare interessi conflittuali rappresentati per un verso dalla tutela del lavoro nella famiglia contro antichi abusi e prevaricazione, per l’altro dall’intangibilità degli acquisti, ha fatto prevalere il primo senza però infrangere l’ordine pubblico costituzionale.

A ben guardare non è dato costatare l’emersione di una prelazione vera e propria sul patrimonio aziendale, posto che manca il terzo rispetto al quale i familiari-lavoratori sono preferiti a parità di condizioni. Si tratta, casomai, di un diritto all’acquisto forzoso del partecipe contro il coerede estraneo all’impresa dell’ereditando.

Secondo alcuni interpreti l’acquisto coatto sarebbe altresì ammissibile in tutte le situazioni di trasferimento dell’azienda appartenente al disponente, comprese le vicende traslative aventi causa liberale e titolo di morte.

Se si dà credito a quest’ultimo orientamento, bisogna per coerenza ammettere che al donatario o successore dovrà essere corrisposto dal preferito ex lege il valore commerciale dell’azienda, siccome la preferenza non può assumere le sembianze della locupletazione ingiustificata o della espropriazione mascherata.

Si è altresì sostenuto che la preferenza ora indagata non possa essere invocata quando l’azienda sia stata conferita in società, perché nella rappresentata situazione mancherebbe un vero e proprio distacco tra soggetto e bene.


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