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Gli eredi possono accedere agli account online del defunto

Gli eredi possono accedere agli account online del defunto

Eredità digitale anche contro le clausole contrattuali

La gestione dell’eredità digitale rappresenta una delle sfide più complesse del diritto contemporaneo, in un contesto in cui la vita delle persone si svolge sempre più frequentemente online. Il Tribunale di Venezia, con un'ordinanza del 4 giugno 2025 (n. 5516/2025), ha fornito una risposta rilevante in materia di accesso post mortem agli account digitali da parte degli eredi o di altri soggetti portatori di un interesse meritevole di tutela.

Secondo il giudice veneziano, le clausole contrattuali che vietano la trasmissibilità dell’account o dei dati in esso contenuti non possono prevalere sulla normativa nazionale sulla protezione dei dati personali, in particolare sull’articolo 2-terdecies del Codice della Privacy (D.lgs. 196/2003, come modificato dal D.lgs. 101/2018).

 

L’articolo 2-terdecies: fondamento normativo dell’accesso post mortem

L’art. 2-terdecies del Codice della Privacy stabilisce che:

“I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento (UE) 2016/679 riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, per ragioni familiari meritevoli di protezione”.

Tale disposizione, letta in combinato disposto con il GDPR, riconosce agli eredi e ad altri soggetti legittimati il diritto di accedere ai dati personali del defunto, salvo che il de cuius abbia espressamente vietato tale accesso con una dichiarazione inequivoca, resa per iscritto o in altra forma univoca.

 

Il fatto: un account digitale conteso tra erede e fornitore

Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Venezia, l’erede di una persona deceduta ha promosso un procedimento d’urgenza, chiedendo al giudice di ordinare al gestore di un servizio digitale la conservazione dei dati associati all’account del defunto e la successiva trasmissione degli stessi.

Le motivazioni dell’istante erano sia morali (recuperare ricordi personali, foto e comunicazioni), sia patrimoniali, poiché i dati contenuti nell’account potevano essere utili per contrastare pretese creditorie avanzate nei confronti dell’eredità.

Il gestore del servizio, pur dichiarandosi disponibile alla collaborazione, si è appellato a una clausola contrattuale che prevedeva la chiusura automatica dell’account e la cancellazione dei dati in caso di morte dell’utente, ritenendo necessaria un'autorizzazione esplicita del giudice.

 

La decisione del tribunale: priorità al diritto alla privacy post mortem

In una prima fase, il giudice aveva respinto il ricorso, accogliendo la validità della clausola contrattuale. Tuttavia, a seguito di reclamo, il tribunale ha completamente ribaltato la decisione, sancendo che:

  • le condizioni generali di contratto non possono impedire l’esercizio dei diritti derivanti dall’art. 2-terdecies;
  • la semplice adesione alle clausole standard non equivale a un'espressa volontà del defunto di negare l’accesso post mortem;
  • il diritto all’accesso ai dati digitali può essere esercitato anche solo per motivi morali, senza necessità di una giustificazione patrimoniale.

In assenza di una volontà inequivocabile del titolare dell’account di escludere specificamente l’accesso ai suoi dati dopo la morte, prevale il principio di tutela degli interessi degli eredi e dei terzi legittimati.

 

Clausole contrattuali VS volontà testamentaria: quando contano davvero?

Un aspetto centrale della pronuncia riguarda il valore giuridico delle clausole contrattuali. Il tribunale ha osservato che la mera adesione a termini e condizioni, spesso redatti unilateralmente dai fornitori di servizi e raramente letti o compresi dagli utenti, non può essere assimilata a una vera disposizione di volontà testamentaria.

Ai sensi dell’art. 2-terdecies, infatti, solo una manifestazione di volontà chiara e specifica – ad esempio inserita nel testamento o tramite le funzionalità offerte dal servizio per designare un "contatto erede" – può legittimamente impedire l’accesso ai dati dopo il decesso.

 

Implicazioni pratiche per utenti, eredi e fornitori

La pronuncia veneziana ha rilevanti implicazioni pratiche:

  • Per gli utenti: è fondamentale prendere consapevolezza della possibilità di gestire in vita l’eredità digitale, predisponendo direttive specifiche sui propri dati digitali.
  • Per gli eredi: la decisione rafforza il diritto di accedere a contenuti e dati del defunto, anche contro eventuali opposizioni dei gestori di piattaforme.
  • Per le aziende digitali: è essenziale adeguare le condizioni generali di servizio alla normativa nazionale, predisponendo meccanismi trasparenti per il trattamento dei dati post mortem.

 

Una svolta nella giurisprudenza sull’eredità digitale

Il caso trattato dal Tribunale di Venezia si inserisce in un più ampio dibattito giuridico sul rapporto tra diritto alla privacy, libertà contrattuale e successione digitale. In un panorama normativo ancora frammentato, questa ordinanza si pone come precedente giurisprudenziale rilevante, contribuendo a delineare un bilanciamento tra volontà del defunto e diritti degli eredi.

L’ordinanza del Tribunale di Venezia rappresenta un passo importante verso la riconoscibilità giuridica dell’eredità digitale in Italia. Essa afferma il principio secondo cui la tutela dei dati personali del defunto deve essere bilanciata con gli interessi morali e patrimoniali degli eredi, e che solo una volontà espressa in modo inequivocabile può limitarne l’accesso.

In attesa di una disciplina organica sul tema – magari attraverso una legge sulla successione digitale – la giurisprudenza continuerà a svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione di un diritto adeguato all’epoca digitale. Ecco perché affidarsi a professionisti come Agenzia delle Successioni può essere importante per approfondire al meglio la tematica in questione.

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